La Calabria e la storia del pesce spada
Il nome scientifico è Xiphias Gladius, dalla denominazione latina Xiriaz che significa rosto e da Gladius che significa spada, dove quest’ultima è l’elemento caratterizzante che può raggiungere un terzo della sua lunghezza.
Il pesce spada è un animale migratore, non si riunisce in branchi ma è affiancato dalla femmina che non abbandona mai per amore e dedizione.
La pratica della caccia al pesce spada è conosciuta già al tempo di Omero, descritta in un passo del XII libro Dell’Odissea.
Omero parla della caccia a delfini e ad altri animali marini, in prossimità della rupe di Scilla, invece lo storico greco Polibio ci descrive le attrezzatura usate durante la caccia sempre a Scilla.
Il pesce spada veniva pescato attraverso piccole imbarcazioni composte da due uomini, un rematore e un lanciatore.
Le barche rimanevano in attesa di un segnale da parte di un osservatore sistemato su una rupe o altri luoghi elevati, appena avvistava il pesce.
A Scilla si contavano circa 13 poste, a Bagnara Calabra erano presenti due poste intorno al 1085, a Palmi anche due fino al 1466.
I posti di avvistamento ormai sono quasi scomparsi, soprattutto con le nuove tecnologie, anche se a Palmi ancora si vedono sporadicamente.
Una volta avvistato il pesce spada, l’avvistatore agitava una banderuola bianca e iniziava a sgolarsi pronunciando parole come: Paleddu di Paja, che stava a significare che il pesce si avvicinava e si allontanava, oppure Forte Paleddu di Fo che significava che era molto lontano e bisognava inseguirlo ripetendo Guardia manau.
Per l’attacco e l’arpionatura della preda veniva utilizzata illuntro, un’imbarcazione usata per altri tipi di pesca e trasporto merci, invece per osservare i movimenti del pesce, si usava la feluca che era un’imbarcazione di medie dimensioni.
Ricevuto il segnale, la barca si dirigeva verso il pesce, sotto indicazione di un altro osservatore che posto sull’albero della barca che è chiamato gariere, dove dirige il movimento dei rematori.
Giunto a destinazione, il lanciatore con un’asta di elce o un altro legno pesante, di circa due metri e con l’arpione in ferro, costituito da una punta composta da due alette che si aprono una volta che penetrano nella carne colpisce mortalmente il pesce. Subito dopo, il marinaio che si trovava a remo di poppa con il gancio e la corda (detta tocco) che è legata alla coda del pesce, lo trascina in barca.
In rapporto al peso, il pesce veniva diviso tra l’equipaggio: una parte al maestro dei ferri, una parte e mezza al padrone dell’attrezzatura del luntro, una parte e mezza al marinaio estremo di prora e al marinaio (paleddu di prora) invece i guardiani ricevono più parti, dovuta alla responsabilità dell’avvistamento.
Nell’antichità la pesca del pesce spada era molto limitata, soprattutto per le pochissime barche non molto veloci per inseguire il pesce.
Nel Medioevo le cose cambiarono, con l’introduzione di nuove tecniche di pesca e la costruzione di navi più veloci fino a tutto l’Ottocento, fin quando non vengono introdotte nuove tecnologie, con l’avvento della cosiddetta pesca moderna che viene effettuata in tre modi: con l’arpione su le cosiddette passerelle, con le reti di superficie dette palamitare o con lunghe lenze munite di ami, chiamate palangresi.
Senza dubbio la pesca con l’arpione è il sistema classico, che deriva dalla tradizionale pesca con ferru e draffinera.
Pratiche al limite tra religione e superstizione sono presenti anche nella pesca al pesce spada.
Infatti è consuetudine ancora oggi, appendere sull’albero della passerella e in passato della feluca, l’immagine del santo patrono.
I pescatori cercavano di eliminare il malocchio dalla propria barca, spumicandola, come si dice in gergo.
Si apportavano sortilegi con piatti cosparsi di acqua, olio, sale e altri ingredienti e si celebravano dei riti propiziatori.
La pesca moderna ha quasi messo fine a queste usanze, anche se ancora oggi vengono tramandate da generazioni in generazioni, come ad esempio il grido di San Marco: un urlo emesso dall’arpionatore quasi come protezione e ringraziamanto al santo, quando viene colpita la preda.
Un’altra pratica è quella della Cardata a Cruci, si tratta di incidere una croce con le unghie, su un lato della testa del pesce e viene fatta appena il pesce spada viene pescato.
Infine, non va dimenticato l’aspetto culinario del pesce spada che adorna le nostre tavole tra giugno e fine luglio, periodo in cui viene pescato nel tratto della costa calabrese davanti allo Stretto di Messina fino a spostarsi ad agosto nel tratto di costa messinese per seguire le correnti più miti e meno calde.
Esistono vari modi per cucinarlo, uno dei piatti tipici è quello di farlo arrosto con il sarmuriggiu.
Si tratta di un particolare condimento composto da olio, limone, origano, prezzemolo, aglio, sale e acqua.
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